Dedicare una collezione ad una figura importante come quella di Madiba è un omaggio che porta con se una responsabilità. E la scelta di esporsi.
Quello di Madiba è un nome importante. Chiamare così una collezione, se da un lato è un evidente omaggio ad una figura storicamente fondamentale nel cammino dell'umanità, sicuramente rappresenta una bella responsabilità. L'esplicita dedica è naturalmente rivolta a Nelson Mandela. Un rivoluzionario, un premio Nobel per la pace che ha lottato per anni come freedom fighter per i diritti civili nel suo paese, il Sud Africa , cosa che lo ha portato a passare in carcere 27 anni prima di riuscire a diventarne presidente. La sua presidenza portò avanti un governo di unificazione e pacificazione in un paese da decenni vittima dell'haparteid, la separazione fisica tra i bianchi e i neri. Per questo in tutto il mondo oggi è riconosciuto come simbolo di uguaglianza e antirazzismo. L'evidente responsabilità di chiamare in causa una figura di tale portata è però ben chiara in casa Dolly Noire. "In tutto quello che facciamo, noi tentiamo di trasmettere un messaggio, spesso positivo, o se riusciamo addirittura ispirazionale."
Racconta Gioele Castelvetere, direttore artistico Dolly Noire. "Da qui la scelta di dedicargli la nostra ultima collezione, proprio in questo momento storico, chiamandola Madiba. L'intenzione è quella di rendere evidente il valore della diversità." Si sceglie dunque di esporsi, in un periodo non facile, caratterizzato da forti tensioni sociali e da contrapposizioni nette, soprattutto su determinati temi. Una cosa che, nell'ambiente della moda ma non solo, a livello internazionale accade sempre più spesso. Se una volta da certi temi si stava lontano, mantenendo una facciata di neutra imparzialità o di esplicita lontananza, oggi i brand in generale, e quelli di moda in particolare, vengono sempre più riconosciuti come delle entità con un'identità propria. Non solo con un carattere ed un comportamento tipico, ma anche, in qualche modo, con delle responsabilità. "La gente è sempre più consapevole della responsabilità che le aziende hanno in quello che fanno" prosegue Gioele "e di come queste loro scelte siano in grado di ripercuotersi a livello mondiale. Essendo questo di dominio pubblico, per mantenere la propria credibilità, i brand non possono oggi non schierarsi in qualche modo, rendendo evidente la propria visione del mondo." Lo ha fatto la Nike, che ha scelto come testimonial per i trent'anni dello slogan "Just Do It" Colin Kaepernick, ex quarterback dei 49ers, senza lavoro da quando si è inginocchiato durante l'inno nazionale per protesta contro le violenze della polizia nei confronti dei neri."La stessa cosa facciamo noi, non solo spinti da questa tendenza, ma anche dal particolare momento storico che stiamo vivendo a livello sociale" conclude Gioele.
Per comunicare questo messaggio, Dolly Noire ha scelto di utilizzare come testimonial in primis Jeffrey Jewell, un ragazzo non solo di colore, ma albino, quindi un diverso nella differenza. L'idea è quella di colpire e, perchè no, far discutere. Non solo dunque attirare l'attenzione, ma creare del rumor, far si che la gente si stupisca e ne parli, che si crei un argomento di discussione. Esporsi, piaccia o non piaccia, significa mostrare anche la propria opinione a livello di politica, intesa come la "cosa pubblica". Che prevede la presa di certe posizioni, ma anche il confronto, la discussione. Certo, per esporsi ci vuole coraggio. Ma il momento storico sembra davvero spingere a fare delle scelte. E poi, il motto Dolly Noire è Stay Brave, quindi, a livello di coraggio, possiamo stare tranquilli.