Dalla Machete al progetto in Uganda, intervista al giovane fotografo autore di alcuni degli scatti più interessanti degli ultimi tempi
La fotografia è indubbiamente una delle forme d'arte più affascinanti che esistano. Sin dalla sua nascita, è stata accolta con un misto di stupore, fascinazione e terrore, dovute all'impressione che questa nuova tecnologia avesse letteralmente la capacità di immortalare un momento, quasi rubandone l'essenza; rendendolo eterno e al tempo stesso rimuovendolo dal corso incessante del tempo. Con l'evolversi degli strumenti a disposizione, i limiti stessi della fotografia si sono ampliati a dismisura, ma l'effetto magico che riesce ad avere sullo spettatore, quello non si è mai estinto. Il solo pensiero di poter raccontare una storia – dalla più banale alla più mitologica – tramite una “semplice” istantanea è più vivo che mai, soprattutto oggi, nell'era della condivisione istantanea, che ha reso la comunicazione visuale il medium per eccellenza. Luci ed ombre, poesia e tecnologia, magia e narrativa: questi e molti altri elementi si incastonano nella pellicola – o nel digitale, se non siete dei nostalgici -, ma l'elemento più importante resta sempre e comunque lo sguardo dietro l'obiettivo.
Quello di Roberto Graziano Moro è uno sguardo che nasce esattamente trent'anni fa, nel 1989, a Timsoara, e percorre un sacco di chilometri per finire poi a crescere a Vicenza, circondato da una vita di periferia che tende a temprare chi ha l'indole forte, ma che rischia di spezzare chi non ce l'ha. Roberto appartiene però alla prima categoria, e fin da giovane trova nell'arte una scappatoia alla provincia asfissiante. Inizia con la pittura, ma ben presto si rende conto che non è un percorso in grado di intrigarlo fino in fondo, e nel 2013 inizia a dedicarsi alla fotografia, in maniera completamente autodidatta. Di base a Milano ma con all'attivo lavori e collaborazioni in tutto il mondo, l'ho raggiunto per scoprire qualcosa della persona che si cela dietro il famigerato obiettivo, sia a livello artistico che personale. “Amo scattare interagendo molto con la luce, perchè come nella pittura ti può dare quell'elemento in più su cui lavorare”. Non rinnega le proprie origini artistiche, che al contrario si sono riversate nel suo nuovo percorso, rendendo la sua fotografia vivida, robusta, dal fascino disarmante che cela però una profondità notevole. “Il mio lavoro si propone di raccontare storie” mi dice, “storie che sono lo specchio di una realtà attuale, e che spesso presentano elementi che richiamano la vita di strada”.
In relativamente poco tempo – all'atto pratico, sono “solo” sei anni che si dedica alla fotografia -, è riuscito a dar vita ad un portfolio di tutto rispetto, collaborando sia con diverse realtà legate allo streetwear – tra cui, per l'appunto, Dolly Noire -, sia con moltissime realtà musicali – in primis, il collettivo Machete e tutti gli artisti che ne fanno parte. Nonostante la notevole differenza dell'uso che questi ambienti fanno della fotografia, Roberto ritiene che l'approccio alla base sia sempre lo stesso. “Credo che a cambiare non sia l'approccio tra un tipo di ambiente e l'altro” mi confessa, “sta tutto nell'approccio che ha il fotografo nel realizzare il lavoro. Per me l'importante è scattare e portare a casa il miglior lavoro possibile”.
Tra i migliori lavori possibili portati a casa, figura sicuramente il reportage fotografico del viaggio in Uganda, che lo ha visto protagonista insieme a Daniele Crepaldi di Dolly Noire, Hell Raton e il team della AVSI Foundation. Oltre ad aver visitato le meraviglie naturali di un paese incredibile, sono entrati in contatto con alcune delle realtà più dure del continente – dai carceri minorili alle baraccopoli delle periferie -, raccontando queste storie anche e soprattutto attraverso il suo obiettivo. Mi dice che è dal 2017 che è aperto il progetto che lo lega all'Uganda, che l'ha portato a legarsi profondamente al paese, alla sua cultura, alla sua storia, al suo popolo. “Grazie anche al sostegno di Dolly Noire siamo riusciti a fare qualcosa di buono per diverse realtà, in un paese in cui anche un piccolissimo gesto può fare la differenza”: si riferisce alle AVSI Tee di Dolly Noire, il cui ricavato è stato devoluto completamente in beneficienza. Proprio un suo scatto è il protagonista della t-shirt benefica: “alcuni di quei bambini non avevano mai visto un uomo bianco, erano lì che mi toccavano, mi spingevano, giocavano come me” mi racconta, quando gli chiedo come è nato lo scatto, “seduto per terra in mezzo a loro ho finito per realizzare lo scatto che poi ha accompagnato l'iniziativa di charity”.
Una carriera ancora agli inizi eppure già ricca di momenti unici, contraddistinti da intraprendenza e coraggio. Cosa significa “Stay Brave” per Roberto Graziano Moro? “Avere il coraggio di osare e non perdere mai l'attitudine per raggiungere i propri obiettivi, non solo nel lavoro ma anche nella vita”.